
Milano durante la Design Week: festa per tutti, tranne che per i milanesi.
È tornata la Design Week a Milano.
La città si accende, si colora, si riempie.
Arrivano turisti, creativi, addetti ai lavori, influencer, studenti di design da ogni parte del mondo.
È un evento internazionale, un motore economico, una vetrina prestigiosa per il Made in Italy e per la città stessa.
Ma ogni anno, puntuale, mi torna la stessa domanda: Design Week, ma per chi?
Perché mentre le riviste celebrano l’energia creativa di Milano, i milanesi veri fanno i conti con tutt’altro.
Traffico paralizzato, mezzi pubblici in tilt, code ovunque, marciapiedi invasi, servizi ridotti, rumore continuo.
E se provi ad avvicinarti a un evento, a una mostra, a un cortile in zona Tortona o Brera… ti senti subito fuori posto.
Troppa fila. Troppa gente. Troppo tutto.
La Design Week è diventata uno show, e come ogni show ha un pubblico e un backstage.
E i milanesi, sempre più spesso, stanno dietro le quinte.
A reggere il ritmo, a scansarsi, a evitare i luoghi iconici, a organizzarsi per sopravvivere a una settimana di caos “glam”.
Non fraintendetemi: amo Milano e amo il design.
Ma mi manca quando la Design Week era anche un momento in cui la città si apriva davvero.
Quando si poteva ancora passeggiare tra le installazioni senza sentirsi schiacciati, quando si aveva il tempo – e lo spazio – per lasciarsi sorprendere.
Oggi tutto è troppo. Troppo veloce, troppo affollato, troppo documentato.
E troppo poco pensato per chi qui ci vive ogni giorno, 365 giorni l’anno.
Forse è solo il desiderio di una bellezza più accessibile, più gentile, più umana.
Che non trasformi Milano in una Disneyland del design, ma in un luogo dove l’ispirazione possa incontrare anche il quotidiano, la lentezza, il cittadino.
Perché il design dovrebbe migliorare la vita.
E invece, almeno questa settimana, la complica.
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