
C’è una cosa che noto sempre più spesso, online e nella vita reale:
abbiamo perso la capacità di dissentire.
Non sappiamo più dire “non la penso come te” senza trasformarlo in una rottura.
Non sappiamo più ascoltare un’opinione diversa senza sentirci minacciati.
Non sappiamo più distinguere tra la persona e la sua idea.
Forse è colpa dei social, che ci abituano all’idea di prendere posizione, sempre, subito, in modo netto.
Forse è colpa della velocità con cui si comunica, della mancanza di contesto, del bisogno di etichettare tutto per semplificare.
Ma il punto è che non riusciamo più a convivere con la differenza.
Siamo diventati bravissimi a “circondarci di persone che ci somigliano”.
Abbiamo la nostra bolla di amici, di contenuti, di opinioni.
Ma appena qualcosa stona, appena qualcuno dice qualcosa che ci infastidisce o che non condividiamo… saltiamo.
Rispondiamo male, ci chiudiamo, eliminiamo, blocchiamo.
Eppure crescere, relazionarsi, stare al mondo significa anche questo.
Significa accettare che qualcuno ci contraddica.
Significa sopportare la frustrazione di non avere ragione.
Significa rimanere in relazione nonostante le differenze, e non grazie alle somiglianze.
Io stessa, per molto tempo, ho faticato a reggere il dissenso.
Mi feriva, mi destabilizzava, mi faceva sentire attaccata sul personale.
Poi ho imparato (e sto ancora imparando) che non è così.
Che dissentire non è aggredire.
E che ascoltare un’opinione diversa non vuol dire condividerla, ma semplicemente riconoscerla come legittima.
Quello che ci manca è un’educazione sentimentale al conflitto.
Non il conflitto violento. Ma quello costruttivo, onesto, umano.
Quello che non vuole vincere, ma capire.
Non dobbiamo pensarla tutti allo stesso modo.
Ma dobbiamo, almeno, imparare a restare in dialogo.
A lasciare che le differenze respirino.
A non avere paura del confronto, quando è fatto con rispetto.
Forse, in un tempo così diviso, la vera rivoluzione è questa:
saper restare in relazione anche quando non siamo d’accordo.
Aggiungi commento
Commenti