
Non è il sesso, è il vuoto.
Ogni tanto mi capita di ascoltare una nuova canzone e provare un senso di disagio. Non per il contenuto esplicito, né per il linguaggio crudo, che di per sé non mi hanno mai turbata. Ma per la povertà del pensiero che li sostiene. È una forma di stanchezza, quasi una delusione silenziosa, davanti all’ennesimo titolo pensato per scioccare senza dire nulla.
L’ultimo esempio è Piangere a novanta, il nuovo singolo di Blanco. Un titolo talmente violento nella sua inutilità da togliere qualsiasi voglia di approfondire. Non provoca, non fa riflettere, non scandalizza nemmeno: semplicemente, svuota. È una frase buttata lì per attirare attenzione, per farsi commentare — anche negativamente — purché se ne parli.
Ma il punto, almeno per me, non è mai stato il sesso. L’erotismo ha sempre fatto parte dell’arte, della musica, della letteratura e della poesia. È una forma altissima — e rischiosa — dell’espressione umana. Basti pensare a Disperato erotico stomp di Lucio Dalla, che ci parlava di desiderio, corpi, frustrazione e vita vera. Lo faceva con ironia, stile, libertà. Ci raccontava qualcosa di profondamente umano, e in quell’umanità ci restituiva un frammento di verità. C’era una coscienza, un’identità, un’urgenza.
Invece, oggi, sempre più spesso ci troviamo davanti a testi che accumulano parole forti come accessori, usate senza una reale intenzione, come se la trasgressione si fosse trasformata in linguaggio preconfezionato. Un po’ di Gesù, un po’ di Maria, un po’ di sesso, un tocco di psicoterapia, qualche slogan pseudo-femminista e il gioco è fatto. Tutto insieme, tutto in superficie. Un frullato di riferimenti forti ma vaghi, che si annullano a vicenda perché privi di coerenza.
Prendiamo l’ultimo brano di Annalisa: un testo che accumula immagini forti senza alcuna profondità narrativa. “Mi rovino la carriera, spacco il tavolo, mi venderei, giuro su Maria, perdona i miei peccati.” È un susseguirsi di frasi dal sapore drammatico e apparentemente potente, che però, nella loro giustapposizione disordinata, perdono forza e significato.
Non è trasgressione. È una posa. Non è provocazione. È solo marketing.
In tutto questo, quello che definirei davvero volgare non è la nudità o l’allusione sessuale, ma l’assenza di pensiero. Non mi infastidisce il riferimento a un corpo, ma la totale mancanza di rispetto per ciò che le parole possono fare quando vengono usate con intelligenza. La vera volgarità è nel vuoto, nella superficialità, nella ripetizione meccanica di immagini che sembrano dire tutto e invece non dicono niente.
E aggiungo una cosa:
il rap, che spesso usa un linguaggio esplicito, per me è più nobile di tutto questo.
Quando ascolto Madame - per dirne una - percepisco un pensiero lucido, un'identità forte, un mondo interiore complesso.
Sento che ha qualcosa da dire, e lo dice come vuole. Ma lo dice per davvero.
Ecco, il punto è tutto lì.
Scrivete di quello che volete... di sesso, di corpi, di rabbia, di dolore.
Ma fatelo con verità.
Con coraggio.
Con una voce che sia vostra, non della macchina promozionale.
Perché la libertà, anche nella musica, è un diritto. E la qualità resta sempre una scelta.
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