
La morte di Papa Francesco è arrivata in un mondo stanco.
Stanco di guerre, stanco di divisioni, stanco di cercare senso in mezzo al rumore.
Ed è arrivata come arrivano certe notizie che non sorprendono, ma fanno comunque male: piano, silenziosamente, lasciando dietro di sé un vuoto che non si sa subito come riempire.
Non bisogna essere credenti per capirlo.
La morte di un Papa , soprattutto di questo Papa, è qualcosa che supera i confini della fede.
È la fine di una presenza che, nel bene e nel male, ha provato a costruire ponti, a ridurre distanze, a parlare un linguaggio umano anche nelle stanze più inaccessibili del potere.
E proprio davanti a questo vuoto, qualcosa è successo.
Qualcosa che sembrava impossibile solo pochi giorni fa.
Dentro la Basilica di San Pietro, tra il profumo dell’incenso e la compostezza di una liturgia antica, sono apparsi anche loro: Trump e Zelensky.
Due uomini che, oggi, sembrano appartenere a mondi opposti.
Due volti che, in altre circostanze, forse non si sarebbero nemmeno guardati.
E invece lì, nella casa di chi ha sempre predicato il dialogo, si sono stretti la mano.
Uno scatto. Un'immagine.
In molti l’hanno subito liquidata come una “trovata mediatica”, come qualcosa di superficiale.
Invece io non riesco a liquidarlo così.
Non riesco a credere che sia stato solo un gesto vuoto.
Anche se non sappiamo cosa cambierà, anche se tutto sembrerà uguale domani, penso che certe immagini abbiano comunque un peso.
Perché in un mondo abituato ai muri, anche una stretta di mano può essere una crepa.
Anche un istante di esitazione può contenere, in silenzio, il seme di qualcosa che ancora non vediamo.
In quel momento, ho cercato di immaginarmi cosa passasse nella testa dei grandi della terra.
Mi sono chiesta se, anche solo per un istante, abbiano sentito la sproporzione tra le loro battaglie e quel silenzio più grande che li circondava.
Ho sperato (senza cinismo) che magari Trump, tra una stretta di mano e uno sguardo rubato, abbia sentito il peso di una responsabilità più grande. E che, anche solo per un momento, abbia pensato che un'altra strada è possibile.
Che Zelensky, nel dolore del suo popolo, abbia trovato anche uno spiraglio di umanità da riconoscere nell’altro.
Non lo so. Non posso saperlo.
Ma credo che il cambiamento, quello vero, non inizi mai con un annuncio.
Inizia sempre dentro. Inizia in silenzio.
A volte basta un istante di disarmo, una crepa nell’orgoglio, un pensiero che ti sorprende quando meno te lo aspetti.
Forse Papa Francesco, con la sua morte, è riuscito a fare quello che ha cercato tutta la vita:
avvicinare ciò che sembrava inconciliabile.
Toccare corde che la politica aveva ormai dimenticato.
E allora, forse, il vero miracolo non sarà vedere accordi firmati o dichiarazioni ufficiali.
Il vero miracolo sarà se, almeno per qualcuno di quei grandi, qualcosa avrà iniziato a muoversi nel cuore.
Anche senza clamore.
Anche senza testimoni.
Perché la pace non comincia dai palazzi.
La pace comincia da dentro.
E forse, in quel luogo di silenzio e di morte, qualcuno - almeno uno - avrà avuto il coraggio di ascoltarsi davvero.
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